In tema di videosorveglianza sul lavoro, la recente nota 2572/2023 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ribadisce che, in mancanza di accordo sindacale o di provvedimento autorizzativo, l’eventuale consenso dei singoli lavoratori all’installazione di telecamere non basta a rendere legittimo l’impianto. Questa posizione era stata già espressa in passato dalla Corte di Cassazione penale, nell’ambito di una sentenza che avevamo commentato nel post “Videosorveglianza sul luogo di lavoro: l’ok dei dipendenti non basta“. La nota dell’INL conferma questo orientamento.

Essa contiene alcune indicazioni operative per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione di impianti audiovisivi in ambito lavorativo. La premessa fondamentale sta nel divieto assoluto di controllo intenzionale a distanza dei lavoratori. Nel caso in cui vi siano dichiarate finalità, quali “esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”, il datore di lavoro potrà ricorrere a sistemi di videosorveglianza, ma solo dopo aver soddisfatto almeno una delle seguenti condizioni:

  1. Raggiungimento dell’accordo collettivo con le rappresentanze sindacali aziendali;
  2. In caso di mancato accordo, conseguimento dell’autorizzazione da parte dell’INL.

Tenuto conto che il bene giuridico tutelato riguarda i lavoratori nella loro collettività, la mancanza dell’accordo sindacale o del successivo provvedimento autorizzativo non possono essere compensate dall’eventuale consenso, anche se informato, dei singoli lavoratori. In tal caso, l’installazione di telecamere risulta illegittima e penalmente sanzionabile.

Videosorveglianza sul lavoro: ammissibile l’utilizzo per comprovare l’inadempimento disciplinare del lavoratore

Sull’utilizzo delle telecamere in ambito lavorativo, si è espressa recentemente anche la Corte di Cassazione. Con la sentenza 8375/2023, infatti, essa ha stabilito che, in presenza di un impianto di videosorveglianza legittimamente installato, le immagini registrate possono essere utilizzate per comprovare l’inadempimento disciplinare del dipendente.

Il caso riguarda la misura disciplinare rivolta ad un educatore professionale che, poiché si erano rifiutati di obbedire alle sue indicazioni, aveva afferrato uno dei suoi studenti per la maglietta e spintonato un altro, facendolo cadere. La dinamica era stata ripresa dall’impianto video installato nei locali con finalità di sicurezza, in ottemperanza all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. L’educatore, nell’ambito del procedimento, aveva contestato il ricorso alle registrazioni, ma il giudice del merito prima e la Corte di cassazione poi, ne hanno confermato la legittimità.

Gli organi di giudizio hanno ritenuto, infatti, che le immagini riprese dalle telecamere costituissero un elemento aggiuntivo e del tutto lecito, in quanto il sistema di videosorveglianza, installato per esigenze di sicurezza, inquadrava spazi privi di postazioni di lavoro e accessibili anche a personale non dipendente. L’intero impianto, inoltre, era stato realizzato a seguito del raggiungimento di un’accordo sindacale e quindi doveva ritenersi assolutamente congruo.

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